Ultima

All’osteria ti ascoltavo due tavoli più in la

La tristezza della tua voce alta.
Diventi sola a parlare così,
ci respingi.

Bisbigliamoci, costringiamoci a porgerci l’orecchio.
Stringiamoci nei sussurri, fino ad abbracciarci e
a doverci spogliare per sentirci, finché
per sentirci potremmo solo col
calore.

Ma se dico una frase, il calore del mio corpo non cambia il significato?
Non cambia qualcosa l’aria nei tuoi polmoni?
Se mi fumi un “ti amo” in faccia,
io che dovrei pensare?

Dovremmo alleggerirci, salire in alto,
fino ad avere solo aria di montagna nei polmoni,
rarefatta, e darci dei “ti amo” che volino da soli,
per l’aria calda nei nostri polmoni.

Amarsi è sollevarsi, non di tanto, con la voce stridula.

Capitolo 5 – Vernice plus

Jacopo si trova ancora una volta al buio. Il respiro affannoso rende lo spazio claustrofobico mentre piano cerca tra le coperte l’oggetto dei suoi pensieri. Nella sua testa le parole nere si accavallano e cerca un appiglio, far combaciare le sue costruzioni mentali con quelle frasi.
Sprofondate nel suo cuore preoccupazioni! State arrugginendo un cuore d’acciaio.
Se può il vento che tanto s’impegna a far sbattere gli scuri porterà queste parole al destinatario nel tempo in cui le ali di rondine portano la primavera. L’inverno del suo cuore sarebbe così portato al disgelo, svegliato dal suo letargo ritroverebbe la voglia dei germogli di scrollarsi di dosso il terriccio e arrivare a nuova vita.
Jacopo si gira e si rigira, la gamba si culla da sé e le estremità delle sue dita si ghiacciano. Il sangue è tutto nel suo petto, nel suo collo, aiuta i polmoni. Gonfi. Sgonfi. Gonfi. Sgonfi.
Come non pensare? Via, maledetti corvi, nuvole nere sulla sua fronte! Allora è vero che ogni brutto pensiero ha le sopracciglia contratte!
Jacopo s’abbraccia, come non s’abbraccia neanche un figlio, nel nero delle lettere di cui non trova un incastro. C’è un gran fracasso tra le sue costole, un suono antico quanto il primo uomo che trattenne il respiro, nel freddo di una caverna.
Si contrae l’addome come se con gli occhi della pancia, che sono i più profondi e solleciti dei tanti disponibili all’uomo, vedesse arrivare il colpo. Tenere duro, deriverà da lì, il detto? Da quella contrazione?
Le dita non possono ringraziare, o complimentarsi, o dire quanto tutto questo sia insopportabile.

State molto attenti ora, perché Jacopo ha fatto una cosa. Jacopo si è sporcato nel profondo con dei colori che non gli appartenevano. Sì, dovete proprio saperlo, ha tinteggiato buona parte della camera che tiene lì nascosta, quel luogo sconosciuto a tutti se non agli occhi dello stomaco, che certo sono reattivi e onniscenti a sufficienza. Così quando la vernice si è messa le gambe in spalla… con la volontà di chi sarebbe rimasto per sempre sia chiaro, non è mica fuggita a cuor leggero, solo che gli eventi… Dicevo, quando la vernice ha tagliato i rapporti col pennello, la stanza è rimasta metà colorata, e metà bianca.
Quindi adesso Jacopo è davanti a una scelta.
Primo: può tinteggiare tutto di bianco, e chi s’è visto, s’è visto. Ha così tante parole che potrebbe riempire superficie e volume tante volte da superare le passate consigliate per la buona tenuta del colore. Sì però… poi si vede dove c’era il colore prima perché il punto diventa più spesso, e prima o poi l’intonaco cade e si vede… Non si può fare. E poi se aveva deciso di tinteggiarlo quel bianco, ora non si torna indietro, non sarebbe… autentico!
Secondo: può cercarsi un’altra vernice e finire la stanza con quella, ce ne saranno sugli scaffali! Sì, senz’altro. Sì, però… Questa non tiene. Questa non brilla. Questa è buia. Questa è stupida. Stupida vernice!
Terzo: Ritrovare quella medesima vernice! Ok, questo è folle! Jacopo, la vernice è andata via! E non puoi dirle che è stata una gran vernice, che quando vorrà pitturare qualcosa tu ci sarai sempre, che è bravissima ad assolvere i suoi compiti di tinteggiatura per diventare una vernice plus! Eh non puoi, perché daresti fastidio a quella vernice! Meno ti vede meglio sta.
Jacopo capisci che meno ti vede meglio sta, la vernice?
Capisci che meno la cerchi e più lei riuscirà ad essere la vernice che vuole ed è destinata ad essere?
Jacopo, come vedi delle tre opzioni non hai scelta! Cioè  davvero, non hai scelta, nessuna, nessuna delle tre è una strada percorribile!
Chiudiamo la stanza?
La spalanchiamo, per chiunque?
Jacopo soffiando dalle narici un taurino e rovente “NO” è in questo istante monolitico e fortissimo, alto svariate leghe sul tetto del mondo, reggendo dolcemente la volta celeste col suo indice sinistro. Sceglie d’essere il più forte possibile, per quella Vernice.

Io so solo che Jacopo è nel buio delle sue lettere. Respira a fondo. Scoprendo le difficoltà di fare parallelismi con colori in barattoli.

Mala-nconia

Tutta la mia testa altrove, in un’astronave
Fatta di ciottoli e buio notturno, si muove a sospiri di pieni polmoni
Nell’immenso spazio vuoto, mi diranno “devi essere felice
Hai ancora da esplorare”, esplorare, esplorare, piccoli pianeti
Coi pensieri che ci orbitano pesanti, sciami di conti in sospeso,
Essere attratto da gravità resistibili,
Viviamoci il presente con la brutale bellezza della solitudine,
Viviamoci viviamoci, a distanze di anni luce,
“Devi essere produttivo,
Devi avere un tuo motivo”,
Proprio ora che sono vestito da una maglia di dolore.
Dolore,
Malinconia, ci soffoca dolcemente
Nei letti da cui non osiamo alzarci
Nelle coperte che abbracciano il nulla dei nostri corpi
Stesi o rannichiati, rigidi e freddi, con la gola annodata
Da un impegno di cui dobbiamo ricordarci.
E tu non ti rendi conto che è questo, Amico Mio?
E’ proprio questo che ha ucciso le mie Voglie,
In una primavera che sa d’autunno, “Del nostro scontento”!,
Le scale che per quanto salgano, portano sempre in basso.
Per quanto la verità sbucci, la bugia è sempre frattura.
Per quanto il dolore uccida, la rabbia che partorisce è sempre Vita.

Siamo solo dei bambini che hanno imparato a camminare dopo i loro giocattoli.

Un Punto per Me Stesso

Al caro e amato Me Stesso;
dovremmo un po’ fermarci
con tutto questo tormentarsi, non ti pare?
Le persone, queste piccole e minuscole cose
devi un po’ lasciartele scivolare addosso,
e scivolare tu stesso nell’acqua piovana
delle pioggette primaverili,
Ripristinare un po’ la nostra unità.
Perché, caro e amato, Me Stesso è di entrambi (almeno)
Ed entrambi dovremmo cooperare.
Affila la penna, battila finché è ancora calda
discorsi smussati senza filo, dicono?
A me lo scalpo, reciso a suon di rima!
Liberati, Amato Me Stesso!
Spogliati della paura, del rimorso,
del ricordo, della nostalgia!
Scatena sopra il mondo saette di versi,
Fai tremare col tuo respiro una sala gremita,
e furioso abbatti su di loro la sfrenata massa dei tuoi Pensieri!
Cibati di quei silenzi,
Quei Grandiosi Silenzi
che rotti al momento giusto fanno crollare gli imperi delle convinzioni altrui.
Riempi i polmoni e veleggia verso terre lontane, create dal tuo solo inchiostro
Inverti il finale e l’inizio dei tuoi pensieri, e poi sostituiscine il corpo,
inonda ogni tuo personaggio di cupa solitudine, guardali annientarsi,
osservarti dal basso per ricevere un goccio nero di compassione,
una cosa minuscola, Amato Me Stesso, che tu tanto vuoi, ma che solo IO
posso darti, se mi concederai di ricongiungerci. Io potrò darti, lo stesso
che tu neghi ai tuoi creati.
Un punto.

Non basta

Io sono due. Aggiungerei che Noi siamo Uno.
Saremmo.
Sei rimasta sulla pelle come l’ultimo raggio di sole estivo
Trapassando qualsiasi strato. Hai toccato.
Quando finisco qualcosa, poi posso riprendere da dov’ero prima di iniziare
Ma tu, sei stata l’Inizio. Cosa c’era prima?
Prima di riempirsi la pancia c’è stato il mangiare,
Ma quando non avevo un fuoco, una tavola
come mi nutrivo?
In due è mangiare, da soli è nutrirsi.
I tuoi occhi; ho la fortuna che le mie parole non hanno
Io li ho avuti, per me, mentre loro stanno qua
E non sapranno mai come sono, e lo vorrebbero davvero
Io lo vorrei che leggessi, io vorrei che le accompagnassi
Tu, che sei l’unica per cui abbiano un senso
Che possa capire tutto, che possa inciampare
Con me
In un filo attaccato al pavimento con lo scotch

Invece stanno qui, in fondo al pozzo.
E tu da su
Coi tuoi riccioli scuri hai fatto la notte
Col tuo sorriso hai tracciato la luna
Con le tue lentiggini hai popolato la volta
E io guardo.
E non basta. Non basta.

Inopportuno

è difficile trattenersi dallo scrivere.

Verona

Neanche l’ultima gioia stretta tra le mie fredde dita
riuscirete a strapparmi con i vostri lamenti
le vostre commiserazioni e la vostra culturetta.
Lo zampillare di paroloni e di opinioni precostituite
Troverà in queste orecchie
Un muro così solido
Che, per dio,
prosciugherà la vostra fonte di idiozie
senza che ne sia nata una sola foglia.

Non vi è vita nel cibo già masticato
e per questo Verona dovresti dolcemente
come dite voi?
Passare a miglior vita
In verità sarebbe semplicemente passare a Vita,
che nei confini cittadini questa parola non si è vista
non vi è fremito, né sguardo infuocato alcuno
passione, irradiazione, esplosione d’animo
Non vi è un dinamitardo o un bombarolo,
una scissione di atomi studenteschi che rimbombi
per Via Mazzini
qualcuno che viva di vita e di vita muoia.
“Quanti grammi?”, davvero è questa la domanda di sinistra più in voga?
Davvero a sbornie si ravviva l’aria irrespirabile?
Sì, eccome, da dietro a un computer leader di una rivolta silenziosa
Così silenziosa che è morta e non ce ne saremmo accorti se solo
non facesse così freddo.

Non basta. Non ci stiamo ponendo di cambiare il Mondo
ma di ritornare, al Mondo. E non basta, non basta porselo.
Cosa fai tu? Scambi monologhi per applausi
a rassegne che hanno per nome giochi di parole
per assordarci col tuo ego?
O apri un’associazione per il gioco intelligente,
perché te e i tuoi amici volete muovere pedine senza sentirvi in colpa
di non star facendo altro, che appunto, muover pedine?
Oppure certo, promuovi l’università, il tuo dipartimento
l’ateneo! Crea contatti con tutti, conosci più gente che puoi
vai in Erasmus, scappa dall’eco dell’abisso che risuona nel tuo cranio!
C’è chi con Mille amici ha fatto l’Italia, perché non allora avere diecimila conoscenti?
Magari ci facciamo una pagina Facebook.

E tu che stai qua? A scrivere? Che fai? Che cambi?
Appunto. Io sto qua.
Scrivo.
Faccio.
Cambio.

Il guardiano notturno

Ciao sono io,
posso entrare?

Di notte faccio il guardiano, e per il resto dormo. Io vivo due notti ogni giorno.
L’eco dei miei passi all’ombra delle enorme magazzino, mi risuona in testa
nel sonno.
Quando vado a letto tu ti svegli.
Ti cerco.
Non potrei fare la guardia a te? Starti a guardare, tutta la notte
dormire.
Osservare la tua mano quando si contrae leggermente, e afferri qualcosa in un mondo profondo.
Appoggiarti una mano sulla schiena e sentire il tuo respiro.
Mi metterei in divisa, a letto. Farei le parole crociate con la torcia stretta in bocca.
Un lavoro così non te lo scrolli di dosso. Non ci torni più a dormire la notte.
Non bene.

Iniziare non era stato facile.
Nelle prime tre settimane la cosa più difficile era restare sveglio.
Poi ti ho conosciuto. I sabati sera a vagare insonne per la città.
Dopo, la cosa più difficile era dormire, sapendo che tu eri sveglia.
Per te dev’essere stato l’odore della mia cena durante la colazione.

Ma a volte, non si potrebbe pensare:
tutto ciò che mi serve
è sapere quando la tua mano si schiuderà?

Gira

Ti prego, lasciami perdere
Se per strada, in ufficio, all’università, al semaforo, incrociamo lo sguardo
E io per un attimo sento davvero di avere un contatto

Non c’è niente di vero, lo so bene, lo sappiamo entrambi
Che non c’è più niente che si possa ancora fare per riconoscerci tra simili
Lasciami perdere.
Amica mia, lasciami perdere.
Se mi ricordo tutto
Tutta la sincerità sprecata
Tutti i fondi di discorsi che ci siamo scolati senza venirne a capo
Le urla, oltre le mura della casa e quelle del suono,
Oltre la violenza, per stilettare la milza e piegarci, fino a sdraiarci per terra
Fino a schiumare bile

Sale un’ira che mi rende l’aria irrespirabile
Mi bruciano i polmoni e sento tuonarmi il petto
Di una tristezza che scende nel profondo di abissi
Siamo spietati con tutto ciò che è nostro
Servirebbe che mi restituissi quello che ho perso
Tutta l’autostima, il credersi capaci di qualcosa,
Non l’essere, ma il credersi, la capacità di aiutarsi da solo
E non solo girare, e girare, e girare, e girare
Senza andare da nessuna parte.

Che messaggio diamo,
Cosa scriviamo, perché non dovrei più farlo
cosa ci resta, amica mia,
Ora più che mai
Ora che mi sei più intima perché sei rimasta un’idea
L’ombra del sole, e non se ne va
Che resta in questa testa.
E gira, gira, GIRA!

Serenata

Gentil creatura, voi restate, la mia fede
Ed il mio cuor, s’è fatto già, la vostra chiesa
Che possa, la mia preghiera, portarvi in viso
Un sorriso, alla finestra, in cui vi chiamo

Se sporgerete, la vostra mano, dal davanzale
Ci poserò, questa mia voce, come promessa

Se uscirete, i vostri occhi, dalla tenda
C’asciugherò, quella lacrima, che vi addolora

Rit.:
In questo giorno, io v’ho pensata
E tra le dita m’è uscita, ‘sta serenata
Che se v’ha offesa, la porto via con me

In questo giorno, io v’ho pensata
E tra le dita m’è uscita, ‘sta serenata
Che se nel cuore, v’è penetrata, ce la lascio per te

Dolce fior, nella mia vita, fatta di rovi
Voi sbocciate, in mezzo al freddo, delle mie notti
Dolce fior m’imbarazza sai, la primavera
Che regalate ai rami secchi, dei miei occhi

Se avrà la mia preghiera, un bel sorriso
Renderete molto felice, il mio respiro

Se avrà la mia  preghiera, le vostre dita
Renderete molto felice, la mia vita

Rit.:
In questo giorno, io v’ho pensata
E tra le dita m’è uscita, ‘sta serenata
Che se v’ha offesa, la porto via con me

In questo giorno, io v’ho pensata
E tra le dita m’è uscita, ‘sta serenata
Che se nel cuore, v’è penetrata, ce la lascio per te