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All’osteria ti ascoltavo due tavoli più in la

La tristezza della tua voce alta.
Diventi sola a parlare così,
ci respingi.

Bisbigliamoci, costringiamoci a porgerci l’orecchio.
Stringiamoci nei sussurri, fino ad abbracciarci e
a doverci spogliare per sentirci, finché
per sentirci potremmo solo col
calore.

Ma se dico una frase, il calore del mio corpo non cambia il significato?
Non cambia qualcosa l’aria nei tuoi polmoni?
Se mi fumi un “ti amo” in faccia,
io che dovrei pensare?

Dovremmo alleggerirci, salire in alto,
fino ad avere solo aria di montagna nei polmoni,
rarefatta, e darci dei “ti amo” che volino da soli,
per l’aria calda nei nostri polmoni.

Amarsi è sollevarsi, non di tanto, con la voce stridula.


Mala-nconia

Tutta la mia testa altrove, in un’astronave
Fatta di ciottoli e buio notturno, si muove a sospiri di pieni polmoni
Nell’immenso spazio vuoto, mi diranno “devi essere felice
Hai ancora da esplorare”, esplorare, esplorare, piccoli pianeti
Coi pensieri che ci orbitano pesanti, sciami di conti in sospeso,
Essere attratto da gravità resistibili,
Viviamoci il presente con la brutale bellezza della solitudine,
Viviamoci viviamoci, a distanze di anni luce,
“Devi essere produttivo,
Devi avere un tuo motivo”,
Proprio ora che sono vestito da una maglia di dolore.
Dolore,
Malinconia, ci soffoca dolcemente
Nei letti da cui non osiamo alzarci
Nelle coperte che abbracciano il nulla dei nostri corpi
Stesi o rannichiati, rigidi e freddi, con la gola annodata
Da un impegno di cui dobbiamo ricordarci.
E tu non ti rendi conto che è questo, Amico Mio?
E’ proprio questo che ha ucciso le mie Voglie,
In una primavera che sa d’autunno, “Del nostro scontento”!,
Le scale che per quanto salgano, portano sempre in basso.
Per quanto la verità sbucci, la bugia è sempre frattura.
Per quanto il dolore uccida, la rabbia che partorisce è sempre Vita.

Siamo solo dei bambini che hanno imparato a camminare dopo i loro giocattoli.


Serenata

Gentil creatura, voi restate, la mia fede
Ed il mio cuor, s’è fatto già, la vostra chiesa
Che possa, la mia preghiera, portarvi in viso
Un sorriso, alla finestra, in cui vi chiamo

Se sporgerete, la vostra mano, dal davanzale
Ci poserò, questa mia voce, come promessa

Se uscirete, i vostri occhi, dalla tenda
C’asciugherò, quella lacrima, che vi addolora

Rit.:
In questo giorno, io v’ho pensata
E tra le dita m’è uscita, ‘sta serenata
Che se v’ha offesa, la porto via con me

In questo giorno, io v’ho pensata
E tra le dita m’è uscita, ‘sta serenata
Che se nel cuore, v’è penetrata, ce la lascio per te

Dolce fior, nella mia vita, fatta di rovi
Voi sbocciate, in mezzo al freddo, delle mie notti
Dolce fior m’imbarazza sai, la primavera
Che regalate ai rami secchi, dei miei occhi

Se avrà la mia preghiera, un bel sorriso
Renderete molto felice, il mio respiro

Se avrà la mia  preghiera, le vostre dita
Renderete molto felice, la mia vita

Rit.:
In questo giorno, io v’ho pensata
E tra le dita m’è uscita, ‘sta serenata
Che se v’ha offesa, la porto via con me

In questo giorno, io v’ho pensata
E tra le dita m’è uscita, ‘sta serenata
Che se nel cuore, v’è penetrata, ce la lascio per te


Capitolo 5 – Cortomaltese

Jacopo vede che te ne vai sbattendo la portiera. Uno schiaffo di spostamento d’aria.
Jacopo è sempre al palo, sempre fermo, accarezza il suo gatto, guarda oltre le finestre, quelle del suo monitor, e conta.
Jacopo si prende un altro no, se lo mette in borsa, e cammina con i sassi nelle scarpe che vorrebbe tirare, tirarseli addosso, rimanerci sotto la valanga dei suoi sassi nelle scarpe.
Jacopo fuma, si stappa una bottiglia, usa la pornografia e i videogame, si spegne.
Jacopo ti guarda ancora negli occhi, non lo fa con nessuno ma con te sì, dannazione, ti guarda come se dovesse capire misurando il tempo che ci mette il suo sguardo ad arrivare al cuore quanto profonda sei. Ti fa luce dentro, si porta in te, ti fa ancora l’Amore come una volta, quando dall’altra parte del tavolo giocava a prendere tutte le tue occhiate e a farsi correre i brividi sulla schiena coi tuoi sorrisi. Spudoratamente in mezzo alla gente. A mezz’aria. Ma tu non ti ricordi queste parole.
Jacopo brucia di banalità ogni giorno, di routine ogni secondo. Tossisce come tutti. Ha la voce roca, si starnutisce addosso. Spacca il volante a pugni. Come tutti.
Jacopo è sé stesso, lo è sempre, a costi di farti male e di ucciderti. Ce lo deve. E tu?
Jacopo vede le tue bugie e vede oltre, e vede. Vede. Vede. Vede. Vede. Fissa il vuoto e vede tutto. Vede la stanza, le pareti rosse, un letto, un hotel, e gli manca la forza di descriversi il resto anche se l’ha già fatto tante volte.
Jacopo ogni giorno discrimina la sua diversità. Quella di ieri.
Jacopo perde sangue dal naso e dagli occhi, e a volte anche quando viene. No, non succede e non vorrebbe succedesse, ma a volte pensa proprio che quello che gli monta dentro deve essere sangue. Infondo è lì che incanala le sue paure, ansie e frustrazioni.
Jacopo fa un altro passo. Ogni numero è un passo lo capisci?
Ci metti una parola davanti a un numero, sempre la stessa… e tutti si aspettano di andare avanti. Ma stiamo andando indietro, sempre di più, ogni parola ci guida alle origini. E srotolato fino al bandolo, la matassa seguirà la sua fine naturale.
Jacopo è quasi arrivato. Si ferma per un po’. Respira aria buona dal filtrino.

L’ultima tappa…. l’ultima Thule…. L’Arcadia… La meta. La metà.

Guardo l’Oceano erculeo. L’ennesima fatica. L’ultima.

Pronta per il Mare aperto Sorella? Pronta per l’America, su una rotta diversa dalla mia? Che le mie tempeste non vedano le tue.
E le tue non vedano le mie.
E io non affondi prima di te e tu prima di me.
Che si possa scoprire da soli insieme.

Jacopo. Cortomaltese.


Sei un Maestro

Sei calmo.
Conosci la rabbia, e sai evitarla.
Conosci la gelosia, e sai respingerla.
Conosci l’invidia, e sai distaccartene.
Sei un Maestro.

Senti la paura, ma sei coraggioso.
Hai tentazioni, ma sei virtuoso.
Sbagli, ma sai perdonarti.
Sei un Maestro.

Le tue parole sono semplici
Rifuggi l’inganno
Ti svuoti e ti riempi.
La tua ingordigia è nel sapere.

Conosci il senso del tempo.
Godi nei frutti del suo uso.
Provi piacere nel dare piacere.
Sei un Maestro.

Conosci i tuoi limiti e sai superarli.
Conosci i tuoi difetti e sai migliorarli.
Conosci i tuoi pregiudizi, e sai smentirli.
Conosci te stesso. Sei un Maestro.


Capitolo 4 – Quel momento lì

Jacopo si trovò consapevole dell’estrema forza di volontà aggiuntiva che d’un tratto gli veniva chiesta. Si sentì meno vuoto.
Sentiva quel momento in cui gli impegni gli franavano addosso come un autentico momento di vita in cui riusciva a capire la sua carenza: il Motivo Per. In tutte le altre fasi della giornata passava solo da una scrivania ad un’altra, e il suo tempo libero lo dedicava a svuotarsi. Il suo rituale collaudato, la sua autoimposizione, il demone lo portava costantemente in un vuoto astrale, privo d’aria, in cui soffocando doveva disperatamente trovare l’uscita nel suo baratro personale. Passare da un vuoto ad un’altro.
Era una passeggiata quotidiana, verso un burrone inevitabile in cui non era più una scelta buttarsi. Ci cascava ogni volta, inciampava e nella sua Disperazione dei Tre Minuti disintegrava tutto ciò in cui credeva. Duale nel suo corpo e nella sua mente. Cavaliere integro, e lurido Furfante. Nessuno prevaleva, ma a lui sembrava che le macchie avessero sempre la meglio sul bianco. Poteva avere abiti candidi lunghi venti metri, e trovando comunque una macchia piccolissima non riusciva a non sentirsi sporco. Si lavava in continuazione anche tre o quattro volte al giorno. Doccia su doccia a ogni Disperazione dei Tre Minuti. Voleva strapparsi la pelle con l’acqua bollente, raschiarsi via e strappare il vestito in brandelli così minuscoli che quella maledetta macchia sarebbe stata solo un puntino insignificante e irricostruibile, indecifrabile anche alla sua memoria.
Ma quando Jacopo si sentiva oberato e incapace, allora tirava fuori il suo meglio. Non aveva i Tre Minuti, non poteva.
Jacopo riuscì ad avere un po’ di pazienza e calmò la sua urgenza di correre freneticamente per battere sé stesso, si perdonò.
Non sarebbe durato. Jacopo sarebbe caduto ancora in quel pozzo senza fondo così stretto che lo faceva scendere ora dopo ora con una lentezza desolante, un’angosciosa e opprimente discesa passata a scalciare fino ai Tre Minuti in cui sembrava allargare di forza le pareti precipitando indefinitivamente, a una velocità elettrica per Tre lunghissimi minuti per cascare perfetto su una sedia in una stanza poco luminosa col suo monitor, e di nuovo irrimediabilmente sporco. Solo, e quindi unico colpevole. Doveva lavarsi e grattasi, asciugarsi e dimenticare ficcandosi dentro qualcosa a costi di mangiare tutto il cibo in casa.
A volte però i Tre Minuti di Disperazione arrivavano quando era fuori, magari al lavoro o per strada, e percepiva gli occhi di tutti addosso col peso di un cappotto in Estate. Tutti sapevano di lui anche se non lo guardavano e non c’erano al suo Rituale, e poi lo compiva.
.
.
Compiuto.
.
ed era sicuro di avere un marchio addosso, Quella macchia che tutti potevano vedere e bisognava camminare veloci, più veloci, guardarsi, schivare le occhiate non fatte, le frasi non dette, non ascoltare cioè, camminare, veloce, rifugiarsi a un tavolo, ordinare un caffè, per vincere l’imbarazzo di stare solo al tavolo, e fumarsi una sigaretta perché tutti lo avrebbero notato se stava a far niente davanti a un bar, e così tutti avrebbero pensato che aspettasse qualcuno, e poi quando finiva farsene un’altra, nel panico di non sapere che cazzo fare, e non ricordarsi perché fosse lì, e camminare ancora, e sentirsi sporco, proprio lì, e volersi scorticare e non potere perché in pubblico non è carino levarsi la pelle, e non potersi lavare come vorrebbe, e volersi tuffare nel fiume, e scuotere la testa, pensando a cos’era, e aver solo voglia di tornare indietro, non comporre quel numero, e prendere quel numero e cancellarlo, e bloccarlo, per cercarne un’altro la prossima volta e ricominciare, o ricordarsi lo stesso e riprovare, e sporcarsi ancora, e ancora, e Ancora, e ANcora, E ANCOra E ANCORA E ANCORA E ANCORA E ANCORA E ANCORA E ANCORA…

Ansimare.

Ecco, in quel momento lì, tuto questo non c’era. E anche se ansimava si sentiva bene, perché era un ansimare pulito. Puro. Sano. Vitale.
“Per oggi basta così”.


La mia Tempesta

Forse trovo un piano, quando calerà il sipario
Sfuggirò alla Tempesta anche se sono il bersaglio
Darò fiato al mio animo togliendo ogni bavaglio
Avrò messo in atto il massimo, il massimo in ogni Atto
L’avrò fatto, per me stesso, per chi sta sotto al palco
Per chi ha dato ogni battuta, per chi ha donato, ogni battito mancato
Ogni battito di mano, ogni attimo sudato, disperato
Di speranza, la nostra Isola sta in una stanza
Se a crearla sono i gesti, i movimenti, le voci nei nostri petti
Possiamo crederci: siamo fautori di noi stessi!
Alla ricerca degli eccessi in un sipario, come un mago
Un gesto e vedi il cielo stellato
Quando finiremo, anche quello, potremo guardarlo

Dall’alto al basso.


Repeat

errare humanum est, perseverare autem diabolicum.
Repeat.


Il Pozzo

La porta si aprì, col suo consueto cigolio. Guardavo la finestrella a pochi centimetri sopra la mia testa, osservando la quantità di moscerini e altri insetti rimasti intrappolati in qualche falla del doppio vetro verdognolo. Incapaci di ritrovare la strada per l’esterno, condannati a sbattere tra le due lastre opache alla disperata ricerca di cibo per gli ultimi istanti della loro vita, in un’indifferenza mondiale.
Non mi voltai a vedere chi fosse. Le persone che entrano nella mia stanza sono sempre alte e vestite di bianco. Io resto accucciato sul mio letto, fissando la finestra, aspettando che si prendano quello che vogliono. Il piatto dell’ultimo pasto, la fodera del mio cuscino per cambiarla, o qualche goccia del mio sangue, attraverso una lunga siringa nel mio braccio, totalmente insensibili all’idea di avere a che fare con un ex-eroinomane. Anche se pure io gli sono  indifferente, al sottile ferretto che si infila sotto cute, aspirandomi un po’ di denso rosso catrame.
Quella volta però i passi del medico erano seguiti da un rumore di tacchi. Una sonorità lontana, onirica, di un passato così lontano che a volte non credo sia mai esistito. Mi capita di confondere la realtà con dei miei disegni mentali, o almeno credo che ciò avvenga. Questo suono però l’ho già vissuto.
“Sei passata a trovarmi” mormorai con finta sicurezza. Non ero per niente certo che fosse lei, o che lei esistesse, o di qualsiasi altra sensazione che la mia testa restituiva rispetto agli stimoli che pensavo venire dall’esterno.
“Avevi dubbi?”
Le mie orecchie mi dicevano di fidarmi. Altre parti del mio corpo no, ma ero abituato a questa disarmonia. Come ero abituato alle convulsioni, gli spasmi, e altri piccoli acciacchi.
“No, ero certo che non saresti venuta. Ma conoscendoti, forse, era prevedibile” voltai la testa verso di lei. Il neon del corridoio si posizionava in prospettiva proprio sotto il suo collo, dandole un’aurea divina fortemente artificiale.
“Come stai?”. Da quant’è  che qualcuno non me lo domandava? Qualcuno me l’aveva mai domandato?
“Spero tu stia scherzando. Anzi, lo sai bene come sto, o non saresti venuta”
La porta si richiuse dietro i passi del medico. Rimasi solo con lei. Ora la sua figura era più nitida dentro la stanza, più umana e confortante.
“Ti da così fastidio che io sia qui?” Mi chiese con una voce un po’ sporca di compassione.
“Mi da fastidio che non ci fossi in altri momenti, e ora sì”. Mi rivoltai verso la finestra, contando mentalmente i secondi prima di una sua risposta. Ho empiricamente stabilito che se questa si fa attendere per più di cinque conteggi, il mio interlocutore è  a disagio. Ne passarono circa venti.
“Sai che non potevo, però ora sono qui. Non conta nemmeno un po’?”
“Oh no, conta molto. Devo stabilire se in senso positivo o negativo. Te come stai?”
“Oh bé insomma…”
“Avrei preferito un “Bene grazie”, così sembra che ti senti a disagio perché a te va tutto bene, e a me no. Come se il benessere fosse una colpa da nascondere”. Non so perché, ma avevo deciso di insistere sulla sua sensazione di disagio, forse per punirla. Come se ne avessi il diritto.
“No non è così. Non sto molto bene”
“Sentiamo i tuoi problemi”.
Per lei, rispose il suo silenzio: io ero il suo problema.
“Capisco” bisbigliai per interrompere il silenzio “ma dovresti venire al dunque della tua visita”.
“Proprio non ci credi che posso essere passata solo per vedere come stavi?”
“Io posso crederci ancora alle favole, se tu sei abbastanza brava a raccontarle”
“Non è una bugia. Ti vedo dimagrito. Stai mangiando?”
“Una favola è diversa da una bugia. Non ho molta fame in questo periodo. No, non ne ho per niente. No, non mangio molto”
“Dovresti”
“Perché? Per chi?”
“Per te. Per non stare male”
“Già, mangiare aiuterebbe molto il mio stato d’animo. Soprattutto vomitare tutto un paio di ore dopo. Mi fa proprio sentire, sano.”
Silenzio.
“Ho poco tempo, se devi dirmi qualcosa, dimmela”
“Perché hai poco tempo?”
“Ognuno ha i propri impegni. Pensi che solo perché sono rinchiuso in una stanza tutto il giorno non abbia il mio da fare?”. Insisto sul suo disagio.
“Volevo sapere se ti serviva qualcosa, se posso aiutarti, come va il recupero…”
“Sai, ultimamente sento delle voci. C’è troppo caos qui. Ho poco tempo. Io ho bisogno del silenzio. E la vita il silenzio non me lo da. Dovevo davvero arrivare a questo perché tu pensassi che io avessi bisogno di te?”
“Come potevo sapere che avevi bisogno di me?”
“Giusto, se non si bucano, non si tagliano e non tentano il suicido non stanno male. I segni c’erano. Credo. Ultimamente non credo più a niente. Nemmeno ai miei pensieri. Non credo di esistere.”
“Tu esisti”
“Ne sei così sicura? Come sei sicura che la tua vita non finisca con questa conversazione. Oppure sei sufficientemente fiduciosa nell’uomo fuori da questa porta che ci osserva dallo spioncino, che riesca a intervenire in tempo prima che le mie mani si stringano sul tuo collo per soffocarti. Non ti ucciderei mai per soffocamento, se volessi ucciderti. Meglio provare a distruggerti premendoti i miei pollici sugli occhi. A quel punto, senza vista, vorresti morire tu per prima, se l’emorragia interna non fa il suo lavoro.”
“Perché dici queste cose?”
Un po’ di paura nella voce si sentiva. La capacità di fare paura, anche alla creatura più indifesa, genera una sensazione di onnipotenza. Un po’ falsa, ma cosa importa? No, non importa. Quando sei solo, ciò che conta è esclusivamente il tuo pensiero.
“Non lo so, forse perché sono un uomo così piccolo che ha bisogno di spaventare la più inerme delle creature. Oppure perché dopo essere stato per anni in fondo a un pozzo, l’unico motivo buono che mi spinge a provare a uscirci, è quella di spaccare la testa allo stronzo che stava fuori con la corda e non l’ha usata”
“Sarei io la stronza?”
“L’hai detto tu”
“Non posso sentirmi in colpa.”
“Eppure ti ci senti. Quante notti non hai dormito pensando che avresti potuto fare qualcosa? Forse il sentirti in colpa per tutto ti da un certo senso di responsabilità, un appagamento. Anche se penso che non avresti potuto fare niente per migliorare la mia situazione non te lo dirò. Non te lo meriti. Io mi sono sentito da solo per anni, ora penso sia il tuo turno, anche se non lo sei. Non quanto me, almeno.”
“Non sei solo…”
“Il mio polso la pensa diversamente”
Mostrandole la benda che nascondevo sotto la manica riuscii a leggere sul volto una micro smorfia di disgusto, corretta istantaneamente con un po’ di compassione, di quella a basso prezzo, che si smercia giusto per non sentirsi a disagio. Un jolly da giocare, quando non hai carte migliori. Il che è tutto dire sulla validità delle restanti.
“Non credo che essere intelligenti almeno quanto la media sia nei requisiti per l’assunzione di un addetto alla manutenzione, ma lasciare un martello e un cacciavite incustoditi su un tavolo è un comportamento sufficientemente stupido per essere rinchiuso qui con tutti noi ‘pericoli sociali’. Anche se ammetto che centrare la vena martellandosi un cacciavite sul polso non è un impresa facile, e infatti non ho ottenuto il risultato sperato.”
“Sai che il suicidio non è la soluzione”
“Se muoio finiscono tutti i miei problemi. Non so tu come la chiami, ma credo che se prendessimo uno Zingarelli la definizione non si scost…”
“Il tuo sarcasmo mi ferisce. E lo sai.”
“Dovresti meditare a riguardo. Sarebbe un buon indizio sui miei sentimenti nei tuoi confronti”
“Mi odi?”
“Se ti dicessi di sì staresti meglio. Se ti dicessi di no, anche. L’incertezza credo faccia più male. Non risponderò.”
“Ok, credo di poter andare”
La sentii deglutire. Poi si alzò e tirando su col naso, aprì la porta.

(To continue)


L’istante in cui mi frantumo

Nell’istante in cui mi frantumo. La mia preoccupazione, è di non tagliarti.
Per Terra, Io resto Qui. Se non mi spazzi via.


Ufficio stampa 20 Ottobre: Prima, ora e poi.

Grazie. Almeno ve l’ho detto, e non finirò mai di dirvelo. Non sarà mai abbastanza. Oggi, è il 20 ottobre! Chi ci sperava che arrivasse? Sembrava allontanarsi, giorno per giorno, da quando ho firmato. Oggi è realtà! Bè l’ho già scritto su Facebook ma per chi non lo avesse letto lo scrivo qua: mi hanno pubblicato il libro! Sapete “Non più soli, nel buio”? Quel libraccio che diversi di voi hanno letto e magari commentato? Ora è realtà. Ora è qualcosa di tangibile. Si può sfogliare, mettere un segnalibro e accarezzare la copertina. Ora tutto questo, è vero. E lo è grazie voi che mi avete letto, sostenuto, criticato (sempre troppo poco)… Questo libro esiste grazie a voi. Perchè se nessuno mi avesse letto e nessuno avesse plauso almeno un po’ il sudore che mi gocciolava dalla fronte, avrei anche smesso. Quindi, intanto, grazie.
Ora veniamo alle cose serie: ci sarebbero milioni di frasi che in questi giorni mi sono rimbalzate per la testa e che vorrei condividere con voi, ma bisogna fare ordine e mantenere la disciplina. Per cui andiamo con ordine. Partiamo dal passato.

La pubblicazione di questo libro non è stata proprio facilissima. Questa proposta che ho accettato è stata l’unica valida che mi sia stata sottoposta. E considerate che me ne sono arrivate almeno sei, sette. E che ho contattato una quarantina di case editrici. Non voglio fare un simposio sulla situazione dell’editoria italiana, non è questo il luogo. Sappiate solo che la situazione è tragica.
Come diversi di voi sapranno, il “racconto lungo” (Chiamarlo romanzo è troppo… pomposo per un’opera così modesta) l’ho ultimato verso novembre, dicembre. Appena tornato da Londra a Gennaio, ho cominciato a mandar via l’opera, a qualunque casa editrice trovassi. Dalle grandi, a quelle piccole. Alla fine, verso aprile, mi ha risposto questa. Si chiama La Riflessione, è da Cagliari, e si occupa per lo più di piccoli autori emergenti.
Perchè ho accettato proprio questo e ho scartato gli altri? Semplice, perchè questo è stato l’unico contratto senza contributo che ho ricevuto. Esattamente ciò che volevo. Ho ricevuto proposte che mi chiedevano anche più di 2000€ per contratti mastodontici, quattro pagine di benefici tra cui c’erano interviste, royalties al 15% (che è davvero tanto) e tanto tanto altro. Il problema è che si trattava più di una “stampa” che di una “pubblicazione”, almeno io l’ho sempre vista così: se paghi così tanto da dover rivendere un libro di appena 100 pagine a 25€ per tornare in pari, non stai pubblicando, stai stampando. E anche in perdita, perchè la casa editrice non si assume nessun rischio. L’unico onere a mio carico con la firma che ho fatto erano 600€, che poi sono scesi a 300 per l’acquisto di copie a uso personale. 27 copie su una tiratura di 1500: di certo non è quel tipo di investimento su cui la casa editrice fa investimento. Mi piace come concetto: io mi metto in gioco, e lo fanno anche loro. Era proprio ciò che volevo.
La data era originariamente il 20 Settembre, ma è slittata per casini postali al 20 Ottobre. Sappiate che per me comunque tutto questo fa parte della mia vita “dai 18 in giù”. Anche per il periodo in cui l’ho scritto.

Adesso qualcuno si domanda “E io dove posso acquistarlo?”, e io rispondo “Boh”. Fa ridere, ma non lo so’ nemmeno io. Vi tranquillizzo sul fatto che la distribuzione è a livello nazionale, per cui potete abitare anche a Lampedusa: qualcuno ve lo farà arrivare. Ho mandato sta’ sera una mail al mio editore per chiedergli informazioni sulla distribuzione, per dove si può effettivamente comprare. Appena so’ qualcosa giuro che divulgo qui, in questa stessa pagina.
Poi, alcuni si chiederanno ancora “Ma il laboratorio di scrittura?”. Mea culpa, scusate tutti! L’università mi ha sottratto moltissimo tempo ultimamente, e ho un problema a farlo partire: trovare il coraggio. Ho molta paura che non vedrà pochi mesi di vita. Devo lanciarlo, e fregarmene come sempre. Vada come vada. Ma non ci riesco. E’ una cosa in cui credo tanto. Vi prometto, prima di Natale lo faccio partire. Lo so’ che la data è lontanissima, però voglio darmi una scadenza che sono certo di rispettare. Intanto restate tutti in contatto. Non si sa mai che la prossima settimana mi salti il matto e vi do il link di tutto. Che poi il forum sarebbe anche finito (se volete darci un occhio… http://webwriters.forumattivo.com/ . Che dite, vi piace?), manca, appunto, il coraggio.
Per il libro comunque io ho quelle famose copie da vendere. Il prezzo di copertina del libro è 12€, io l’ho pagato un po’ di meno quindi posso farvi 10€. Sui prossimi non ve lo so’ dire. Dovrei pagarli meno, ma ho il discorso delle spese di spedizione… Non lo so, anche in questo devo sentire il mio editore.

Bene, passiamo al “poi”, non voglio che questo topic diventi troppo lungo e logorante. Bè, intanto vi dico già che inizierò un nuovo racconto con lo stesso concetto di quello passato: appuntamenti mensili, storia di ragazzi, eccetera. Doveva essere qualcosa di diverso da questo, ma ora ho deciso così. Ho già scritto i primi capitoli che saranno pubblicati in massa nei prossimissimi giorni. Quindi, state collegati anche per questo: a brevissimo lo pubblico. Volevo postarlo questa sera ma se lo facevo questo intervento slittava nel dimenticatoio. E volevo che aveste il tempo di leggerlo, con calma.
Poi, sappiate che questo libro è tutt’altro che un punto di arrivo, ma è semmai un punto di partenza. Verso dove, non lo so’, non l’ho mai saputo dove andavo. Ho in mente un sacco di cose, idee frizzanti per il futuro. Datemi tempo. Anche il blog, ho in mente di ristrutturarlo un po’ appena avrò tempo. E’ troppo sobrio così, mi rispecchia troppo. Cambierò anche indirizzo presto, ma migrerò integramente, con tutti gli interventi e i vostri commenti. Mi serve solo tempo. Diciamo che se mi aggiungete alle 24 standard altre 12 ore, riesco a fare tutto.

Bè che dire? Non c’è tanto altro, penso di aver detto tutte le cose più importanti. Un grazie ancora a tutti, a quelli che mi hanno scritto sulla bacheca di FaceBook, chi sul cellulare, chi commenterà qui. Grazie anche perchè oggi avete fatto fare al mio blog un’impennata di visite (mezz’oretta fa eravamo a 14 visite uniche! Per me è quasi un record, almeno nell’ultimo periodo). Grazie alla casa editrice, a me stesso e a tutto il culo di questo mondo! =D

Grazie. Di cuore. Come sempre, vostro.

Riccardo


Egologia – Dio di me stesso

Venne il giorno. Quel giorno in cui guardandomi alle spalle ripercorsi tutta la mia vita, scandagliando le persone e i fatti che mi avevano causato, tutti quegli elementi la cui conseguenza ero io, prodotto finale di un arcobaleno caotico di esperienze che ora si schiantavano all’unisono nel nero pozzo della realtà e della dura conspevolezza che nessuna sfumatura era andata persa. Ora, tutto veniva al pettine. Davanti a me, vennero quindi per primi gli ipocriti, quelle persone che per quanto male mi avessero causato, nell’ora del bisogno, furono le prime a bussare alla mia porta, tra suppliche e sorrisi di compiacimento.  Furono loro a stendere il tappeto di velluto su cui poi tutti gli altri passeggiarono. Li guardavo, talvolta anche confuso. Era mai possibile che queste persone non si rendessero davvero conto delle squame che ricoprivano il loro viscido corpo? Possibile che negavano di essere vipere anche quando la loro lingua biforcuta sbavava veleno sugli stessi abiti in cui nascondevano la loro retilea essenza? Sibilavano, impietosi, che le apparenze ingannano, e che quanto da loro operato su di me, fosse solo per il mio bene ultimo.

Dopo di loro, vennero i disillusi, coloro che il male avevano fatto e che pietà erano venuti a chiedermi, ma senza troppe speranze. Sapevano il loro destino, e per quanto pentiti, non rifuggivano l’odio di cui erano composti. Piccole particelle di male, del tutto innocue.

Terzi arrivano i testardi. Coloro che anche nell’ultimo momento, combatevano per principio, animati da rabbia e irragionevolezza. Il disprezzo per me, glielo leggevo dentro, e per loro provai forse più pena di tutti. E’ proprio nella convinzione che lo stupido è stupido. Fieri della loro ottusità, in nome di ideali più alti, o semplicemente dominati da un ego smisurato, ridotti a cani di loro stessi.

Queste tre persone, animarono le mie peggio sensazioni.
Da una parte il mio amore per l’uomo, per ciò che rappresenta e per le sue infinite capacità. La mia devozione ad esso per tutto ciò che in grado di creare. Un sentimento buono, perchè buono voglio essere con tutto ciò che mi circonda. Perchè così sono sempre stato: meritevoli e non. La mia bontà, è sempre stato un ambito che vestiva largo, di cui mai sono stato avaro e che spesso è stato indossato da cuori gelidi, che scioglievo con la carezza della mia tremante mano ancora emozionata di riuscire a ridare un alito di vita a terrenti arsi, con la pioggia di un Amore così spontaneo a libero che faceva presto germogliare gioia e felicità laddove prima era solo sabbia e rovi. E i frutti, mai li ho tenuti per me. A voi li ho sempre lasciati, sorridendo, guardandovi gustare momenti di serenità, frutto del mio sincero lavoro.

Da un’altra il disprezzo, la rabbia e l’odio. Sentivo una nube nera, una sfera di opaco cristallo che in me turbinava e dal cuore saliva fino agl’occhi, spegnendo ogni scintilla di vivido affetto per quelle bieche creature che avevo davanti. Avessi potuto evocare il loro anche solo un decimo del rancore che provavo verso di loro, si sarebbero gettati a terra urlanti, contorcendosi tra dolori atroci e distorcenti. Le smorfie di sofferenza sul loro volto sarebbero state così intense da lacerargli la pelle fino a deturpare i loro lineamenti, rantolando e sbavando fino a che la Morte da pena massima si sarebbe trasformata in più soave liberazione desiderabile. Le loro anime sarebbero arse, combuste dal male che loro stesso avevano sprigionato, fino a lacerarsi in brandelli e a ridurre i loro corpi in ciechi involucri in un mondo selvaggio: vuote amebe in balia delle bestie ancor più bestie di loro.

E infine ciò che rimase di questo scontro interiore fu solo una cosa: l’indifferenza. La siccità più cupa di sentimenti mi colse il cuore. Il mio sguardo perso nel vuoto, fu’ per molti in quella stanza come una stella che all’improvviso smette di brillare. Li colse un senso di smarrimento, incomprensione per ciò che accadave. Mai nessuno mi aveva visto privo di emozioni e sensazioni. Eppure preso da un limbo irrefrenabile in una spirale infinita di vuoto, non provavo nè pena, nè rabbia per quelle persone davanti a me. Io ora ero lì, e loro erano solo passato.

Fu un attimo. Realizzando ciò che realmente erano le persone davanti a me, sparirono nel nulla. Lasciandole alla peggiore punizione di sempre, alla morte definitiva. All’essere dimenticate. A non vivere più nemmeno nella testa di altre persone. Non furono più nemmeno idee, ricordi, vibrazioni elettriche trasmesse tra le sinapsi di qualche cervello. Perso ogni aspetto materiale e non. All’improvvisono, non furono più. E basta.
E scrivendone, dimostro ancora la mia infinità bontà.

Se è con un lamento che deve finire questa vita, io me ne vado prima. Se io arrivo, non voglio al traguardo persone che non meritano di esserci. Ed è con questo che vi abbandono, vi lascio al vostro destino. Io, la mia strada, la mia vita. Vanno avanti. Voi,sparite. Adesso.

Puff.


14/10/10 – L’arrivo

Arrivo a casa e lo trovo lì! Il pacchetto che aspettavo da una vita è nell’entrata di casa mia, subito dopo la porta. Abbandono in fretta cartella e giaccone, e poi con ancora le scarpe addosso mi dedico alla sua apertura. E’ un cubo bianco rivestito di carta bianca lucida, con dello scotch da pacchi a chiuderlo, e per questo devo avvelermi di un paio di forbici per aprirlo. Vado cauto però: non so’ come l’interno sia protetto e non ho intenzione di rovinarne il contenuto. Dopo il primo strato di imballaggio, arrivo alla scatola vera e propria, che forzo senza troppi problemi e… Ecco! L’emozione c’è! Non sono deluso, anzi,  mi aspettavo di peggio! Sfioro, accarezzo, valuto e conto. “Yo!” dico tra me e me, convinto che semplicemente, come cosa, spacchi! Dispongo sul tavolo, scatto delle foto. Il momento è solenne, storico per la mia vita! “Wow” continuo a dirmi. E’ qualcosa di trascendentale. Avevo visto qualche bozza teorica, dei “preview” di questo, ma in mano è tutta un’altra cosa! Mi fa sorridere. E adesso? Intanto mi preparo il pranzo. Prendo delle piadine dal frigo e le butto in forno mentre contro la mail e le ultime cazzate su FaceBook. Rifletto. La domanda non se ne è andata: e adesso? Cosa vogliamo fare? Ho immaginato tante volte come dare una notizia simile, il momento dell’annuncio… Però niente, più mi avvicino al 20 e più svaniscono le idee e si riducono le possibilità. Penso. Penso così tanto che tirando fuori la piadina dal forno e cominciando a mangiarla mi viene in mente solo a metà pranzo che non c’è il prosciutto dentro, per cui sto mangiando circa un etto di pane. Ineffetti lo sentivo un po’ duro da mandare giù.
Ogni tanto vado in cucina per prendermi da bere o qualcosa da smangiucchiare per continuare a guardare lì, sulla tavola, disposto con ordine, quella grandiosa testimonianza.
Testimonianza di me, di voi. Di noi.
Quando mio fratello mi ha scritto che era arrivato un pacco da pagare con contrassegno, non sapevo proprio cosa poteva essere. Tutti i pacchi che aspettavo li avevo già pagati con PayPal. Avevo fatto male i conti. Pazienza, 22 euro glieli lascio anche volentieri.
Oggi è il 14 ottobre. Mancano sei giorni al 20. E non ho la minima idea di come andrà a finire. Intanto rifletto. Rifletto come in realtà da domani non cambierà niente, forse neanche dal 21. Eppure non riesco a smettere di sorridere. Non cambierà niente a me e nemmeno a voi. Sarà tutto come prima. Solo che non smetterò mai di dirvi grazie. Mai, sinceramente. Col cuore. Grazie.

20 Ottobre 2010, rimanete sintonizzati. Si scrive un pezzo importante della mia storia che chiunque potrà leggere un giorno.  E chiunque mi ha letto fino ad oggi, ne farà parte integrante.

Tutto questo è grazie a voi.

Di cuore. Grazie.


Monaco 2009 – Foto e Materiale Esclusivo!

Ehy Ragazzi, qua pubblico i link per il downlod delle foto e dei video della gita. Sono tutte foto prese da facebook, quindi già pubbliche. Questa vuole solo essere una raccolta del materiale per velocizzarne la divulgazione! I link saranno aggiornati man mano che mi verrano passate le foto, o che le scaricherò da FaceBook. Per questo vi chiedo gentilmente di darmi i link degli album su facebook o di passarmi in privato le foto.
Grazie per la collaborazione e Buon Download!
 

Esami di riparazione

Un tema rovente, che riaccende la discussione e le proteste ormai lasciate in soffita, impolverate e inibite da anni di totale indifferanza alla scuola. Chi contro, chi pro. Sta di fatto, che domani ci sarà uno sciopero, come in alcune scuole si sta già prorogando da giorni. Ma la questione è: di cosa stiamo parlando? Sappiamo realmente a cosa stiamo andando in contro?
 
Punto primo: i nostri predecessori (alcuni rimasugli dei sessantottini e delle vecchie lotte studentesche) sono convissuti con questa realtà, con questo metodo di selezione. Passa solo chi sa un pò di tutto. Gli altri restano indietro. Ma hanno mai protestato? Si sono mai lamentati? Sono stati eliminati dal sistema o sono ancora vivi e vegeti e con un lavoro? Hanno forse sollevato polveroni, moti popolari e fatto girare voci totalmente infondate via mail e sms? No. Quindi, non vedo dove sia lo scandalo
 
Punto secondo: lo sciopero NON è un nostro diritto. I nostri diritti e doveri li potete trovare qui, un decreto del Presidente della Repubblica, che ci da i leggitimi poteri per esprimerci. Lo sciopero è preorgativa di chi ha uno stipendio. Noi possiamo manifestare, ma allora chiamamo le cose con i loro termini. E perchè non protestare il pomeriggio? Ah no, dimenticavo, quello è tempo libero. E poi, di tutti gli studenti, quanti scenderanno in piazza a farsi valere, e quanti dorimiranno fino alle 11 o adranno in città a sfruttare un week-end lungo provocato da ideologie "Fancazziste",  e stimolate solo dalla voglia di una vacanza.
 
Punto terzo: la manifestazione avverà per 3 motivi, non solo per gli esami di riparazione. Chi me li sa dire è autorizzato a scioperare 😉
 
Voi che ne dite?

Video

Vi consiglio di guardare il video di sinistra tra i due che ho qui sopra. Se volete posso anche darvi il testo, ma tanto è sottotitolato 😉
Accettate il consiglio… Per questa volta 🙂

Tante belle cose!

Ah quanto tempo! è da un mese che non scrivo! Non sarò mancato a molti visto che alla fin fine…Chi mi legge? 🙂
E poi ho avuto problemi, guazzabugli e pensieri per la testa… Eh ma da oggi (forse) si torna come prima!!
Ristrutturerò un pò questo blog va, toglierò video, ne metterò altri, insomma, bisogna dare una ventata di aria nuova!
Domani è un gran giorno! Un anno… Pazzesco!!
Chissà perchè scrivo sempre a quest’ora…
Ma poteva un mio intervento essere privo di un argomento serio e noioso? NO!!! Quindi parliamo di qualcosa di degenerante e castrante: la scuola!
Ebbene sì, la classe studentesca sta toccando il fondo: fenomeni di bullismo, filmatini di sgualdrinelle che "giocano al grande fratello" in classe, ragazzi meno fortunati presi a pugni e chi più ne ha più ne metta. Questi sono solo pochi esempi della miriade di episodi che accadono… Se solo facessero una bella retata nella mia vecchia scuola media, le leggendarie Rosani! Chissà che magari non emergano nuovi riti per sconfiggere i deboli e non ne prendano esempio i bulli di tutta italia! Eh, che tristezza! Mi manca persino la voglia di scrivere… Che delusione!
sarà l’ora… Verranno presto effettuati ulteriori aggiornamenti…. Adios mes amigos!