Teatro

1° Maggio – In democrazia.

Interveranno tutti, chiunque parlerà
uno sopra l’altro, in un’accozzaglia di parole
che suonerà come la frizione di pietre lapidarie.

Chi avrà la bocca, sarà abituato a non avere orecchie,
chi avrà diritto, sarà abituato a esigere come se non ne avesse
chi non avrà diritto, sarà abituato a non disturbare.

Starò in disparte.
Quando il Sindacato, il Pensionato,
il Politico, lo Studente, il Manager
Parleranno del lavoro, come se lo conoscessero,
sarò abituato a non disturbare.


Prologo – Il messaggio

(Entrano Malopasso zoppicante e Gyl alticcio)
Malopasso: Forza Gyl, dovevamo essere al castello già al levare, se arriviamo col cielo rosso sarà lo stesso colore delle nostre guance per i ceffoni che prenderemo!
Gyl: Speriamoci allora mio caro Malopasso, quanto meno nasconderà il motivo del nostro ritardo, ma l’importante è che non ci tagli le mani come al vecchio Faub, perché bere tenendo il bicchiere in bocca è assai scomodo!
M: E allora affretta il passo!
G: La fai facile tu…
M: Ma se sono zoppo!
G: Appunto! Quella tua diavolo di gamba è allenata anche per l’altra. Scommetto che potresti saltare così forte da lasciare due dita di impronta nel terreno.
M: Stai sostenendo che gli zoppi vanno più veloci di chi ha due gambe buone?
G: Dico solo che se le mie gambe fossero come la tua riuscirei a stare al tuo passo, ma essendo diverse vado a un passo diverso
M: Infatti dovresti essere più veloce.
G: Ma non vedi come tremano le mie di gambe? Ad aiutarsi l’un l’altra si sono viziate.
M: Certo, hai bevuto per tre ieri e con qualche parte di te dovevi pur spartire.
G: Ah il vino è come un padrone sadico: prima di accarezza e di fa sentire suo beniamino, e poi ti bastona senza darti un motivo.
M: Il messaggio ce l’hai ancora o ti sei bevuto anche quello?
G: Me lo sarei bevuto volentieri se l’oste l’avesse accettato come pagamento, ma i messaggi reali sono una merce che pochi vogliono maneggiare senza usare le mani d’altri.
M: Hai cercato di barattare il messaggio per denaro? Se Dio c’era, così ci siamo giocati la Matta. Anche lui avrà finito la pazienza.
G: Ma non preoccuparti mio caro amico!  Ho sempre un asso nella manica…
M: Ti sarai venduto anche quello.
G:  … già, con tutta la manica.
M: E allora ringrazia d’essere ancora vestito. Su, dammi qua il messaggio. Lo terrò io.
G: Sì è meglio, così posso aiutare le mie povere gambe… a sedersi! (Si siede)
M: Oh Gyl, non è il momento per riposarsi se non vuoi che quel tremore diventi freddo rigor mortis!
G: Un minuto! Se dovremo arrivare tardi ci arriveremo comunque!
M: Questo senz’altro ma cercavo di togliere alla colpa un po’ di disonore, ma mi pare di capire che ormai abbiamo concesso set, partita e campionato alla vergogna.
G: Ehy amico Malopasso, vuoi sapere una fatto proprio strano?
M: I fatti strani li raccontano i sobri, gli ubriachi dicono solo assurdità. E se tu fossi sobrio sarebbe già di per sé un affare strano.
G: E allora senti questa fratello di bevute. Lo vedi quest’albero?
M: Una quercia.
G: Bé una quercia senz’altro demoniaca.
M: Ecco le assurdità. E perché mai?
G: Sai bene che il due è il numero del peccato no? Della divisione, del corruttibile…
M: Sì sì, sermoni da prete.
G: Bé le foglie di quest’albero puoi accoppiarle tra loro, e non te ne rimarrà fuori neanche una.
M: E tu cosa ne sai?
G: Lo so perché le ho contate.
M: Ma se siamo qui da un minuto!
G: Non devi sentirti in imbarazzo. E ti dirò di più mio caro Malopasso, le coppie possono a loro volta essere messe in coppie! Quest’albero è assolutamente peccaminoso.
M: Sei ancora ubriaco, assurdo. Questo è qua dal battito d’ali di una tortora, e dice di aver già contato oltre cento volte le dita della sua mano! Ma guarda neanche si distinguono le foglie, neanche se le contassi col dito riusciresti a seguire il conteggio! Tu spari panzane!
G: Basta, zoppo! Vuoi darmi del bugiardo, e io do a te del calunniatore. Ti sfido a contare e verificare se non dico il vero! Ma se non lo fai, ricacciati la lingua in bocca e tieni le tue accuse per chi ne è avvezzo, perché Dio mi fulmini se mai qualcuno ha avuto ragione a dare del bugiardo a Gyl Lannet!
(Silenzio)
G: Allora?
M: Visto che sei così ostinato nel raccontare le tue menzogne, è ora che qualcuno ti dia una bella lezione. Staccherò e conterò ogni singola foglia, e quando non torneranno i conti ti farò offrire da bere dieci giri a tutto il villaggio per lavare la tua onta.
G: E tu alla fine della conta ne offrirai a me cento, e sarò contento così, senza macchie e senza lavaggi.
M:Bene!
(Malopasso si gira e comincia a staccare foglia dopo foglia.  Gyl senza farsi vedere, stacca tre foglie e se le mette in tasca)
G: Aspetterò pazientemente, e controllerò che tu faccia tutti i conti giusti.
(Gyl si cala sugli occhi il cappello e comincia a dormire)
(Buio)
….
….
(Quando la scena riprende, Malopasso ormai è visibilmente sfinito).
M: FINITO! Maledetto bugiardo!
G: Adesso vediamo.
M: Le ho staccate tutte, e tutte le foglie sono in una coppia.
G: E fino qui ci siamo.
M: Già, se non fosse che hai voluto strafare, maledetto ubriacone, ed ecco che formando le doppie coppie, me ne avanza una!
G: Hai una coppia in più dici?
M: O una in meno, che dir si voglia!
(Gyl lascia cadere dietro di se due foglie)
G: Mmm… (passeggia avanti e indietro)
M: Come vedi o messo tutte le foglie in fila ordinate e raggruppate. Trova l’errore se c’è, altrimenti, scuci il borsello maledetto ubriacone!
G: No infatti, i conti mi sembrano fatti bene. Non è che te ne sei persa qualcuna?
M: Ecco, ora tira fuori la scusa del vento per provare a rimediare alle sue panzane! Ma se vuoi salvarti dalla tua meschinità dovrai fare di meglio che inventarti una scusa qualsiasi!
G: E quelle due lì perché non sono in ordine allora?
(Silenzio. Malopasso si avvicina, le prende in mano e le guarda. Le mette nel gruppo assieme alle altre)
G: Ecco adesso ci siamo!
M: Io…. Io… Quelle due… ma…
G: Su su dai. E adesso affrettiamoci, hai visto che il cielo è rosso? Questa sera avremo entrambi le guance rosse se non ci sbrighiamo, e io sarò anche piuttosto felice di averle!
M: Santi numi! Il messaggio! Presto Gyl! Presto!
(Malopasso esce zoppicando)
G: Incredibile vero? Farebbero notte per darti del bugiardo, e quando stanno dall’altra parte del dito diventa improvvisamente tardi!
(Gyl esce)


Diario di Linus

(Voce fuori campo. Uomo al centro della scena che scrive)
Diario di Linus: Anche oggi la guerra continua. Il telegiornale delle otto ha scaricato il solito carretto di corpi mutilati, arti martoriati e coscienza sporca sul piccolo schermo. Ogni mattina ci tuona nelle orecchie la campagna di sensibilizzazione che ha ormai assunto il ruolo di anestesia. La mia mente callosa non prova più niente per queste schifezze, e la disumanità della mia indifferenza mi impone di guardare altrove da me.
Sta mattina ho trovato un uomo senza un braccio sul tappetto fuori dalla mia porta. La cosa che più mi dava fastidio era la sua asimmetria. Sì, sono diventato mostruoso, ma d’altronde il tempo dell’ipocrisia è finito quando è stato premuto il primo grilletto. E poi quel braccio forse l’ha perso per causa mia, e mi è passato davanti in qualche speciale alla TV sui profughi. Quindi preferisco chiudere la porta e aspettare che se ne vada. Guardare altrove.

Monica: Mmm… Linus, sei già sveglio?

(Voce fuori campo): Ogni giorno mi chiedo come in un tale inferno Monica possa trovare un posto. La sua bellezza è sempre più cruda e indifferente di quanto non sia io. Forse perché ha sconfitto la morte tanto tempo fa, quando una bomba cadde esattamente sopra la sua casa e lei ne uscì praticamente illesa. No, dannazione, lei è oltre tutto questo, un perfetto frammento di diamante disperatamente indistruttibile. La sua vera disperazione.

Linus: Sei riuscita a dormire?
M: Abbastanza…

(VFC): Questa notte ha dormito eccome. Io è da così tanto tempo che non chiudo occhio la notte, che non ricordo di aver mai sognato. Monica la notte si addormenta in un russare che sa di lentiggini.

Linus: Spero tu stia bene perché hanno abbattuto l’ospedale sta notte. Ora per i raffreddori bisognerà fare duecento kilometri.
M: Sapevo che dovevo andare ieri a prendere le aspirine.
(Monica prende una bottiglia dal banco)
L: Il Bourbon secco alle otto di mattina, Monica?
M: Perché è troppo presto o troppo tardi?
L: Berlo senza ghiaccio è un delitto.
M: Lo è anche annacquarlo con inutili questioni come le tue.
L: Bere alcolici senza sentirsi in colpa ne dimezza il sapore.
M: Berli parlando li fa andare di traverso.
L: Se prima di bere parli così tanto, avrai la gola secca a ogni bicchiere.
M: Meglio rimediare allora. (Beve un bicchiere) Hai ragione, ho ancora la gola secca (Versa un altro bicchiere)
L: Sarà meglio aggiungere alla lista il Whiskey.
M: Mi stai dando dell’alcolizzata?
L: Solo se ti offende. Oggi mi sembri un po’ irascibile.
M: E tu un po’ troppo tu.
L: Qualcosa non va?
(Silenzio)
L: Mi dispiace, so che in quell’ospedale c’era tua madre.
M: Linus, perché?
L: Se quel perché è il solito perché, allora voglio una bottiglia anche io, perché se litighiamo da ubriachi sarà più facile perdonarci domani.
M: Perché c’è questa guerra?
L: Io non ho la mia bottiglia.
M: Non è il solito perché.
L: Preventivamente passami la bottiglia.
M: Rispondi.
L: Per lo stesso motivo per cui esistono i tuoi occhi. Sai perché esistono i tuoi occhi?
M: Perché io possa vedere.
L: Quello è il tuo motivo. Tu hai chiesto il mio motivo. E il mio motivo dell’esistenza dei tuoi occhi è perché io li possa ammirare ogni giorno.
M: Ammiri la guerra?
L: Quando annaspi nel fango, nella morte e nella paura per dieci anni, l’unico modo che hai per sopravvivere è capire dov’è il bello.
M: Non c’è niente di bello nella guerra.
L: Ovunque c’è bellezza. Non vedi la bellezza di un uomo che ogni mattina si alza dal letto e si trova bere alcolici con un angelo come te?
M: No, non trovo niente di bello nella devastazione fuori da questa finestra.
L: Allora devi guardare dall’altro lato. Anche fuori c’è la bellezza, ma è poca, e negli occhi di chi guarda. In tempo di pace tutto è bello, quindi niente lo è. Con la guerra la bellezza… risalta di più.
M: Tu non ne sai proprio niente della guerra.
L: Hai ragione, ne so così poco che posso parlarne col dovuto distacco.
M: E imbarazzante ignoranza.
L: L’unico imbarazzo che ho, è nei tuoi shorts.
M: Poi mi chiedi di vedere la bellezza in questa stanza…
L: Se mi fissi negli occhi forse riesci a vederti.
M: Sento cielo Linus, che sdolcinato.
L: Scusami, è che io non ho ancora avuto la mia bottiglia.
(Monica gli mette una bottiglia sul tavolo)
M: Perché non la fai finire questa guerra?
L: Eccoci qua.
(Linus si versa un bicchiere)
M: Ti costa tanto mettere da parte la tua indifferenza?
L: Mi chiedi di separarmi da un dono così raro?
M: Ti piace non sentire niente? Fare il morto a pelo d’acqua?
L: A te piace essere Monica? Certe cose di me non posso sceglierle.
M: Tu non vuoi scegliere.
L: Evidentemente scegliere è una scelta che non ho.
M: Sei pesantissimo.
L: E se tu avessi uno stomaco forte come la tua lingua potrei evitare di preoccuparmi di chi dovrà pulire il bagno tra mezz’ora se continui a bere a questo ritmo.
M: Dovresti preoccuparti di più delle tua guancia destra.
L: Perc..
(Monica gli da uno schiaffo)
L: Wow….
M: Perché non la fai finire?
(Linus beve con calma)
L: Perché io sono l’ago della bilancia. Quello che fa la differenza. Sono il voto che crea la maggioranza, la parola in più che convince la ragazza a tornare indietro, quell’occasione che se la cogli ti cambia la vita. E tu hai idea di cosa comporti esserlo? Io non ho mai voluto esserlo. E non avendo scelto questa situazione, non vedo perché ora io dovrei scegliere.
M: Non scegliendo hai fatto una scelta.
L: Monica, questa è retorica molto bassa, e la retorica annoia lo spettatore.
M: Tu ne stai facendo da almeno venti battute.
L: Se questa guerra finisse, la gente tornerebbe in strada. Sorriderebbe. Sarebbe di nuovo bella. E io dovrei vedere il tuo fiore dibattersi in un prato pieno di migliaia, milioni di simili. Così invece nel caldo e arido deserto, sei bella e indistinguibile. Se la guerra finisse, te ne andresti. E mi spieghi dove poggerei le mie mani la notte, senza i tuoi fianchi? E i miei occhi dove troverebbero compagnia se non nella coppia dei tuoi seni?
(Monica da uno schiaffo a Linus)
L:… E cosa butterei nei miei polmoni senza l’ossigeno dei tuoi capelli? E come mi disseterei la mattina senza la brina sui tuoi petali?
(Un altro schiaffo)
L:… E chi sopporterebbe il mio Amore, chi porterebbe il mio Affetto al suo petto?
(Schiaffo)
L:… E il mio Odio ogni volta che guardi altrove.
(Schiaffo)
L:… E come farei a mangiare  (Schiaffo) bere e dormire (Schiaffo) senza tu che mi dici quanto (Schiaffo) ti faccio (Schiaffo, schiaffo) irrimediabilmente (Schiaffo, schiaffo, schiaffo) SCHIFO??
(Monica tira un urlo isterico ed esce dalla stanza)
(Linus guarda il soffitto per un paio di minuti, poi si ricompone e torna a scrivere)

(VFC): Ha le mani morbidissime, delicate. Due rose che a ogni schiaffo sì fanno più male di chi lo riceve.
Maledizione a te, Monica, che ieri non sei andata a prendere le aspirine.


Liberami

Lasciami

Perché?

Lasciami, ti prego. Lasciami.

Prima spiegami perché.

Io non ce la faccio.

A?

Lasciami.

Vieni qui.

No.

Dai.

No.

Ok.

Lasciami.

Dimmi perché

Lasciami. Lasciami morire.

E se ti lasciassi vivere?

No. Non voglio.

E se ti volessi?

Vai via.

E se vivessi per te e morissi pure io poi?

Vattene

Sai quanto sei bella…

Non guardarmi

…quanto ti adoro, ti stimo, ti voglio…

Perché me lo stai facendo?

 

… unica immortale bellezza cristallina vitrea inossidabile angelica…

 

Non senti quanto sono vuote le tue parole?

… entusiasmante attimo d’eternità celestiale unica gioia impetuosamente irregolarmente fiera …
(la voce dell’uomo si trasforma in un mormorio discendente, fino a diventare inorecchiabile, anche se continua a spostarsi e a muovere la bocca normalmente)

Non riesco nemmeno a sentirle, a percepirle… Non ti sento. E tu continui a parlare.

(Silenzio)

Non ti è mai importato che io ti ascoltassi.

(Silenzio)

Eri troppo impegnato a trovare parole convincenti, frasi perfette, convinto che un po’ di parlantina sciolta e buona dizione mi avrebbero domata.
(Silenzio)

Lo capisci che io non sono da convincere? Lo capisci? Mi senti? Ehi mi Senti? MI SENTI?

… Dolce melodia impareggiabile graziosa realtà tessuta nel sogno con te di una vita Eterna…
(Il mormoria si alza fino a “sogno”, e poi ridiscende)

Basta così.

(Silenzio)
“Lasciare” è sinonimo di “Liberare”.
Lasciami. A te, sono asettica. Non mi susciti più niente.

(L’uomo si blocca, rimane rigido un istante, poi si pone diritto, guardando la donna, immobile)

Lasciami.

No.

Lasciami.

No!

Lasciami.

NO!

(L’uomo corre verso la donna a testa bassa, e si ferma, appoggiando la fronte alla sua spalla)

Perché non mi vuoi libera?

Tu. Mia. Tu. Mia. Tu. Mia….
(L’uomo ripete questa litania calando di voce, arrivando a mormorarlo in sottofondo)

Soggetto e complemento. Temi il predicato, perché sai che è al passato.
… Il passato è solo il presente di ieri.

Oggi non è ieri.

Lo può essere.

No, non può.

Sì, se ce ne convinciamo.

Non ci riuscirei. Lasciami
(Si sposta lateralmente, mentre l’uomo rimane immobile nella stessa posizione, e con le braccia comincia a muoverle come se la donna fosse ancora lì, accarezzandola e abbracciandola. Sorride. La donna lo guarda)

Ancora. Parli e agisci a vuoto. Troppo preoccupato a compiacerti per le tue parole. Se non fossi stata così giovane quando ti ho conosciuto, l’avrei capito che eri solo un egocentrico vanitoso Poeta.
(L’uomo si ferma, guarda la donna. Porta le braccia lungo il corpo e stringe i pugni)

Lasciami. Tu non puoi avermi. Non puoi. Non puoi. NON PUOI!

(L’uomo corre verso la donna e le da uno schiaffo. Lei cade. Buio. Compare un cerchio luminoso e al centro la donna, rannicchiata, col volto tumefatto)

Lasciami. Lasciami andare. Lasciami stare. Lasciami essere e lasciami prendere e farmi prendere. E cadere. Lasciami cadere. Lasciami morire, lavorare, riposare, stare, giacere, sdraiata, su un pavimento, di un bagno, a sudarmi dalle pupille la mia ennesima overdose. Lasciami colpirmi da sola al buio, prendermi a calci e insultarmi e soffrirci da sola. Lasciami urlare nel nulla. E svegliarmi domani o non farlo. Lasciami. Lasciami libera da ogni vincolo, da ogni catena o nastro colorato che mi tiene al suolo, lascia che spezzi ogni legame, che mi tolga dalle spalle ogni peso. Lasciami questo corpo. Questa prigione d’ossa e di carne rancida, battuta come un filetto dal macellaio. Buttami via dopo avermi usata. Lasciami scegliere il pane e la verdura per la mia ultima cena e la mia ultima partenza e i miei ultimi momenti di Agonia. Lasciami camminare correre urlare rimpiangere. Lascia la mia testa libera da te e da me. La mia Anima non ci vuole Non mi vuole Non ti vuole Non vuole Lascia che sia io a scegliere, quanto debba riempire la vasca, quanto restare in ammollo guardandomi i tuoi ematomi, a che altezza recidere il mio polso e se asciugarmi i capelli prima di farlo, così da essere bella almeno al mio funerale. Lasciami la possibilità di farmi un caffè, prima della mia ultima fine. La mia ultima fine. Ultima fine. Fine.